LA DIMOSTRAZIONE DELLA SALVEZZA
L’apostolo Paolo, nella sua seconda lettera ai credenti di Corinto, elogia le chiese dell’antica Macedonia, i cui credenti sono uomini e donne veramente vicini al Signore, che lo dimostrano attraverso i loro sentimenti e le loro opere. Avendo avuto conoscenza di un grande bisogno verificatosi in Palestina a motivo di una carestia, con insistenza hanno partecipato alla raccolta d’aiuti che è in corso. La loro generosità era stata tale da stupire lo stesso apostolo: Hanno dato, scriverà Paolo in quella lettera, “aldilà del poter loro”. Si è molto discusso intorno al ruolo che hanno le buone opere nella salvezza. Qualcuno, insistendo troppo sulla capacità dell’uomo di compiere buone opere, ha distolto gli occhi dalla necessità di trovare grazia agli occhi di Dio, dimenticando l’indispensabilità di porre piena fiducia nell’opera compiuta alla croce dal Suo Figliuolo Gesù Cristo per essere salvati. Altri hanno predicato una fede intellettuale che non produce risultati visibili, incapace di spingere gli uomini a compiere buone opere, una fede che la Bibbia definisce a morta. Il segreto di questi credenti, che Paolo elogia, sta nell’aver dato “prima (…)loro stessi al Signore”. Senza quest’azione, che porta gli uomini a depositare sull’altare la loro propria vita, è impossibile compiere buone opere che glorifichino Dio. Le buone opere, quelle di cui gli uomini non si vantano, quelle che portano chi le riceve a glorificare Dio, non possono essere compiute da chi non ha prima dato se stesso al Signore e non sono fatte per ottenere la salvezza, anzi sono la chiara dimostrazione che chi le compie è già stato salvato “per grazia mediante la fede”.