GUAI A CHI?
All'inizio del suo libro, il profeta Isaia censura gli avari e gli ubriaconi: "Guai a coloro che pensano solo ad arricchirsi e ad aggiungere casa a casa... Guai a coloro che la mattina s'alzano di buon 'ora per correre dietro alle bevande alcoliche, e fan tardi la sera... Guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene... Guai a quelli che si reputano savi.. Guai a quelli... che assolvono il malvagio per un regalo" (Isaia 5:8,11,20,23). Ma al capitolo 6 egli si trova improvvisamente in presenza di Dio. Il Signore è seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo manto riempiono il tempio. I serafini si coprono la faccia e gridano: "Santo, Santo, Santo è l'Eterno degli eserciti". Allora, prendendo coscienza della propria colpevolezza, il profeta non dice più guai agli altri... ma esclama: "Guai a me, ch'io son perduto!" (Isaia 6:5). Facciamo presto a condannare dei vizi in cui non siamo caduti noi stessi (per grazia di Dio, non dimentichiamolo). Colui che sta umilmente alla presenza dell'Iddio Santo smette di occuparsi degli errori dei suoi vicini. Egli scopre la sua propria miseria morale e conclude: "Io sono perduto!". Era questa constatazione che Dio aspettava. Il rimedio era già pronto e può essere applicato. L'altare e la brace evocano la croce dove il giudizio che io meritavo ha colpito Gesù al mio posto. Ed eccomi, come Isaia, purificato, pronto per servire Dio.